Fino al 22 gennaio a Palazzo Reale a Milano sono esposte le opere di Maurits Cornelis Escher, incisore e grafico olandese. Le sue opere – incisioni xilografiche e litografiche – esplorano l’infinito per mezzo della tassellatura del piano e interpretano in maniera originale dei concetti appartenenti alla matematica e alla scienza; quello che si ottiene è un effetto di straniamento che lascia lo spettatore incredulo. Di seguito, un dialogo sulla mostra.
Tuuuu-tuuuu-tu-click!
Giulia: Pronto!
Federica: Ehi Giu! Come stai?
G: Bene Grazie, tu?
F: Non c’è male. Un po’ raffreddata, ma vabbè.
G: Dimmi tutto.
F: Ti ho chiamato perché sono finalmente andata a Palazzo Reale a vedere la mostra su Escher.
G: Ma dai! Finalmente! E ti è piaciuta?
F: Molto, davvero. Pensa che praticamente non lo conoscevo come autore, quindi non sapevo cosa aspettarmi.
G: Non sapevi che l’opera che hanno usato per la copertina di 1984 di Orwell nell’edizione degli Oscar Mondadori è sua?
F: Non lo sapevo finché non ho visto la stampa esposta alla mostra… il Planetoide Teatraedrico! Comunque il punto è proprio che le opere di Escher hanno raggiunto la nostra quotidianità… anche se non sempre le riconosciamo.
G: L’ultima parte della mostra, quella sull’eredità intellettuale di Escher è proprio su questo: Labyrinth con David Bowie, e la sfera riflettente sulla copertina dell’album Quasi quasi dei Nomadi!
F: Anche le scale di Hogwarts prendono spunto dalle sue opere sulle scale – che sono palesemente ispirate al nostro amato Piranesi.
G: Ti giuro che anche io ho pensato immediatamente a Piranesi appena ho visto quelle stampe, e poi l’audioguida ha confermato la mia intuizione. E, anche se non era citato, è uscito da poco un videogioco che si basa sulle opere di Escher e sulla psicologia della percezione, si chiama Monument Valley.
Un’opera di Escher e una di Piranesi a confronto
F: Non lo sapevo, sai che in fatto di videogiochi non sono molto ferrata. Comunque la mostra era completa: anche se, come ti ho detto, non conoscevo davvero l’artista, mi ha dato gli strumenti per cogliere il senso della sua opera.
G: Quale sala ti è piaciuta di più?
F: la prima, quella sugli Emblemata. Sai come sono fatta, un paio di detti in latino e sono perdutamente tua! Scherzi a parte, penso che l’intera operazione sia semplicemente geniale: pubblicare un compendio di 24 epigrammi, tratti da un’opera come il Liber Emblematum di Alciati e da altri detti latini, e commentarli con una chiosa in olandese aulico e con un’incisione xilografica esplicativa. Wow!
G: Hai ragione, davvero geniali. E ciò che li rende così geniali secondo me è la loro immediatezza: se ci pensi, per esempio, i fiori recisi appassiscono il giorno dopo che li hai comprati, perciò questa immagine viene associata naturalmente alla caducità della vita e usarla per spiegare la massima “Ai gaudenti la malattia sembra lontana” fa capire perfettamente il significato senza risultare ridondante. E poi le xilografie sono stupende.
F: Peccato per la chiosa in olandese aulico… tu sai l’olandese aulico?
G: Ahaha, no ci sto ancora lavorando! Ma hai ragione, avrei tanto voluto gustarmeli tutti, con una bella traduzione accanto.
F: L’altra parte che mi è piaciuta tantissimo è quella con le opere sulla tridimensionalità e sull’illusione: sono stata – ti giuro – un’ora – bè non davvero un’ora, ma comunque tanto tempo – a fissare ogni stampa. Mi ci sono persa dentro per cercare di cogliere ogni dettaglio e più la fissavo più notavo qualcosa di diverso. Ogni opera è un mix perfetto di matematica, geometria, arte, e teoria della percezione. E il bello è che puoi fruire di ogni opera su ognuno di questi livelli. Il Belvedere per esempio: a una prima occhiata ti sembra solo un bello scorcio, surreale sì – con tutti i personaggi vestiti in abiti medievali e il castello in mezzo al nulla – ma comunque un paesaggio. Poi lo guardi con più attenzione e noti che le colonne del castello si accavallano in un modo in cui proprio non dovrebbero, e che il cubo, quello che tiene tra le mani l’omino affranto, è molto strano – e infatti è un cubo di Necker.
G: Mi è piaciuto molto il tentativo di rendere possibile il solido impossibile con l’attività interattiva del cubo. Tu sei riuscita a trovare il punto giusto per fotografarlo?
F: Più o meno.
“Belvedere” di Escher e una delle attività della mostra: il Cubo di Necker rappresentato in tridimensionalità che cambia a seconda del punto di osservazione
G: Mi è piaciuto che ci fosse la possibilità di diventare protagonisti della “torsione aberrante” di Galleria di Stampe. Ero sconvolta sia dalla bellezza dell’opera sia dalla difficoltà nel concepirla. Pazzesca!
F: Che bella la definizione “torsione aberrante”, così linguisticamente ricca ed eloquente per spiegare i limiti di quello che è un puro calcolo matematico trasposto graficamente con immagini. Opera preferita?
G: Metamorfosi, decisamente.
F: Ah! Lo sapevo!
G: Vorrei avere una casa gigante soltanto per poter appendere una delle riproduzioni lunghe otto metri di quell’opera. Partire dalle lettere M e E e arrivare alle vedute di Atrani, passando per scacchi ramarri e api è proprio il genere di cose che non solo mi incanta ma che mi piacerebbe anche studiare e approfondire; sarebbe bellissimo avere la possibilità di vedere dei disegni e dei calcoli preparatori dell’opera.
L’attività interattiva della mostra rende lo spettatore protagonista di “Galleria di Stampe” e ricrea con il computer la torsione aberrante
F: Scommetto che hai comprato la mini stampa!
G: Certo, ovvio! E anche il catalogo della mostra, 29 euro ben spesi.
F: Io invece ho preso il poster con il Belvedere.
G: Eh, non avevo dubbi.
F: Però non ho fatto la foto dentro la Sfera Riflettente, almeno 8 degli account che seguo su Instagram l’avevano già postata. Ho pensato che non sarebbe stato originale.
G: E non sarebbe stato da te. Però devi ammettere che è davvero una bella trovata.
F: Senti magari la prossima mostra vediamola insieme, che dici?
G: Dai sì ci organizziamo.
F: Ora vado che altrimenti mi si bruciano gli hamburger vegani.
G: Uh certo, non sia mai! Ti lascio alla tua cena luculliana. Attenta a non esagerare!
F: Guarda che sono buonissimi, malfidente che non sei altro. La prossima volta te li faccio assaggiare. E ti faccio vedere come sta bene la stampa di Escher appesa in camera mia.
G: D’accordo. Dai, allora buona serata!
F: Anche a te cocca!
Clicca qui se vuoi visitare la mostra di Escher a Palazzo Reale come hanno fatto le protagoniste di questo dialogo.