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San Carlo Osteria Piemonte, l’anima del Piemonte a New York

San Carlo Osteria Piemonte, l’anima del Piemonte a New York

Musement ha intervistato Moreno Cerutti, Managing Director e socio fondatore di San Carlo Osteria Piemonte, aperto da 8 mesi a New York.

New York, la città più dinamica e affascinante del mondo; una terra promessa per chi ha grandi sogni nel cassetto, che premia chi se lo merita e che tritura chi non sa giocarsi le proprie carte. Non per niente Frank Sinatra cantava “If I can make it there, I’ll make it anywhere”, “se avrò successo là, allora potrò farcela dappertutto”.

La storia di San Carlo Osteria Piemonte parte proprio dal sogno di sei amici torinesi di aprire un ristorante nella città che non dorme mai. E ce l’hanno fatta: da 8 mesi San Carlo Osteria Piemonte delizia i palati molto esigenti dei Newyorkers con piatti tipici della tradizione piemontese e delle zone limitrofe.

Musement ha intervistato Moreno Cerutti, Managing Director e socio fondatore di San Carlo Osteria Piemonte, per sapere come procede l’avventura newyorkese e cosa offre di diverso il loro ristorante italiano rispetto agli altri in città.


Moreno Cerutti, Carlo Rolle e Davide Poggi Ferrari, tre dei sei soci di San Carlo Osteria Piemonte. Foto di Elisabetta Riccio

Com’è nata l’idea di aprire un ristorante piemontese a New York?

L’idea è nata per gioco, come spesso accade. Eravamo a Torino (io, Carlo Rolle, Davide Poggi Ferrari, Teresa Rolle, Giorgio Pochettino, e Andrea Della Valle) e parlavamo di quanto sarebbe stato bello aprire un’osteria all’estero, un baluardo enogastronomico del patrimonio piemontese. Tra un calice di vino e un piatto di agnolotti, questo sogno è diventato un progetto, e abbiamo deciso che la città giusta per accoglierlo sarebbe stata New York, dove le persone sono abituate a una cucina italiana che si rifà spesso alle tradizioni meridionali. Davide viveva lì già da 7 anni, io e Carlo ci siamo trasferiti (lui fa avanti e indietro), mentre Teresa, Giorgio e Andrea sono soci silenti e stanno a Torino. Tante terre piemontesi sono diventate da poco Patrimonio Unesco e prodotti come il tartufo d’alba, o il nebbiolo e il barbaresco, a New York sono poco noti o non ci sono affatto. Abbiamo pensato fosse giunto il momento di porre rimedio.

Qual è stata la risposta dei Newyorkers alla vostra proposta – insolita per le loro papille gustative abituate a un altro tipo di “italianità”?

La nostra sfida è stata proprio questa: volevamo far conoscere il nostro patrimonio enogastronomico per come è realmente e proporre una cucina vera, non contaminata dalle influenze americane. Ci siamo ripromessi di smantellare lo stereotipo di cucina italiana alla Little Italy di cui fanno parte il chicken parmigiana, gli spaghetti meatballs e le fettuccine Alfredo e che, nonostante le persone siano sempre più competenti e informate, molti credono rispecchino la vera cucina italiana. A 8 mesi dall’apertura posso dire che stiamo vincendo questa sfida perché stiamo ricevendo una risposta molto positiva: i nostri clienti vogliono sperimentare, si fidano, e rimangono soddisfatti; inoltre siamo stati invitati dal Consolato Italiano a una serata che aveva come ospiti e relatori gli chef italiani emergenti di New York.

Cosa si mangia nel vostro ristorante?

Offriamo un menù con il 50% piatti piemontesi e il 50% originali italiani vicini territorialmente alla cucina piemontese; proponiamo infatti piatti lombardi come cotoletta alla milanese e risotto all’ossobuco, e pesce alla ligure, e formaggi valdostani. Anche se non sono piatti piemontesi, li abbiamo scelti perché raccontano comunque una tradizione autentica e perché il mercato li richiede.

Quali sono i piatti piemontesi più richiesti, quelli che incuriosiscono maggiormente?

Tra gli antipasti sono richiestissimi il vitello tonnato e la battuta di Fassone al coltello; come primo, moltissimi ci chiedono gli agnolotti del plin, i tajarin al ragù di coniglio – che sono fatti con 40 rossi d’uovo come vuole la ricetta originale – e come secondo il fritto misto alla piemontese e il bollito di Carrù.


Battuta di Fassone al coltello. Foto di Elisabetta Ricci

Com’è nata la tua passione per la cucina?

Sicuramente mangiando! Il mio background non è culinario, sono laureato in Scienze Politiche e non vengo da una famiglia nel campo della ristorazione. Sono partito lavorando nel ramo commerciale per diverse aziende e multinazionali, e la mia passione è sempre stata la comunicazione; ho sempre cercato di coltivarla organizzando eventi nel weekend e di sera, prima come singolo poi come agenzia. Da almeno 10 anni però, volevo aprire un ristorante: quello gastronomico è un campo estremamente dinamico e interessante, e mi dà piena soddisfazione su tutti i fronti.

Aprire un ristorante piemontese a New York è una missione particolare e complessa. Come e perché avete scelto il vostro chef?

Il nostro chef Riccardo Zebro è il deus ex machina del ristorante, senza di lui l’Osteria non potrebbe andare avanti. Prima di scegliere Riccardo abbiamo incontrato molti chef – tra i migliori sulla piazza di Roma e Milano – ma quando abbiamo incontrato lui abbiamo capito subito che era la persona che stavamo cercando. Non solo è originario della provincia lombarda e conosce molto bene la cucina piemontese grazie a parenti della provincia di Biella, ma ha anche lavorato per un resort a cinque stelle nelle Isole Bermuda e perciò ha avuto modo di confrontarsi con il mercato internazionale, in particolare con quello americano. Inoltre parla correntemente tre lingue, è creativo e molto aperto al dialogo; quest’ultima è una caratteristica essenziale perché noi abbiamo la necessità di confrontarci e comunicare continuamente con il nostro chef, e con lui possiamo farlo senza problemi. In ogni caso lui è un grandissimo professionista e noi gli lasciamo la massima libertà d’azione.

Qual è il tuo posto preferito a Torino, la tua città natale?

Io amo follemente Torino, è la città in cui intendo invecchiare: è stata la prima capitale d’Italia, è ricchissima di storia e cultura, ed è vivace sia dal punto di vista architettonico e museale, sia dal punto di vista artistico e cinematografico. Ovviamente amo Piazza San Carlo (che dà il nome al ristorante), e il centro storico con i portici, ma il luogo che più mi riporta alla mente ricordi felici è il Parco del Valentino: mi ricorda i tempi dell’università, è molto rilassante in primavera e in autunno ha un fascino particolare.

Quali sono invece i tuoi luoghi preferiti a New York?

Direi Central Park, e poi amo le promenade lungo i due fiumi, l’Husdon e l’East river. C’è una luce bellissima e la gente va lì per fare sport.

 

Sapresti dare qualche consiglio ai lettori del Musement Mag su cosa fare se passano da New York?

Il consiglio numero uno è di venire a mangiare al San Carlo!
Oltre a visitare le mete istituzionali – Empire, Statua della Libertà, e Quinta Strada –  consiglio di fare l’aperitivo su qualche rooftop per godersi lo spettacolare skyline della città, e poi di fare un giro nel West Village; è il mio quartiere preferito, e con le case basse e le vie strette mi ricorda l’Europa, anche un po’ Torino, a dire la verità. Insomma, non è Corso Re Umberto, ma è comunque molto bello!

 


Tavoli imbanditi al San Carlo Osteria Piemonte. Foto di Elisabetta Ricci

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